Mi avevano colpito i grandi spazi. I cortili, i campi da calcio, le aule, i lunghi corridoi col pavimento tirato a lucido, le stalle (perché in quegli anni c’era ancora l’attività di allevamento) e il giardino zoologico ai piedi della torretta di rilevamento meteo. Nell’estate precedente alla prima media, ero stato al “campo dell’amicizia” a Pian dell’Alpe. Semplicemente entusiasmante. Un mondo che si spalancava davanti ai miei occhi di bambino ingenuo e un tantino imbranato.

Il primo anno ho patito il tempo pieno, il ritmo di studio, la fatica di un ambiente che non conoscevo. Ma in seconda media Cumiana mi era già entrata nel cuore. E vi è rimasta. Ho frequentato altri istituti salesiani, tuttavia, nessuno come il Don Bosco mi ha segnato così in profondità. Ed ora, a distanza di più di trent’anni, mi rendo conto di quanto mi abbia donato quell’esperienza. A livello culturale, umano e religioso.

In quegli spazi e con quelle persone - sacerdoti, educatori, amici - ho imparato a studiare, a crescere e a pregare. In una parola ho imparato a vivere.

L’istituto don Bosco di Cumiana è una risorsa preziosa per tutto il territorio, un punto di riferimento educativo. Se avessi un figlio lo manderei a scuola lì. Non per nostalgia ma perché so che oggi, come trent’anni fa, in quell’angolo di campagna, c’è un sistema educativo efficace, sostanziato da valori umani e cristiani che non tramontano con le mode o con le riforme del sistema scolastico. E so che per i salesiani, per gli insegnanti e per gli educatori che operano in quella struttura valgono ancora le parole che hanno fatto di don Giovanni Bosco il santo dei giovani: «Fate conto che quanto io sono, sono tutto per voi. Non ho altra mira che procurare il vostro vantaggio morale, intellettuale e fisico. Io per voi studio, per voi lavoro, per voi vivo, e per voi sono disposto anche a dare la vita».

Patrizio Righero

Patrizio Righero,